venerdì 27 gennaio 2012

Pesci sotto misura, fermo biologico e pesca selvaggia

   In questi giorni i pescatori sono insorti contro la licenza a punti. Ora, se guardiamo le cose dal di fuori, viene spontaneo domandare perchè siano insorti. In fin dei conti cosa gli si chiede? Di salvaguardare un ecosistema che dà loro da vivere, niente di più. Invece sono insorti, è come se, con la loro protesta, gridassero "io voglio essere libero di pescare in modo illegale; voglio poter distruggere l'ecosistema marino; voglio fare dei danni agli altri ed a me stesso e continuare a farli senza che nessuno possa fermarmi". Se così fosse, ovvio, i pescatori andrebbero fermati, con le buone o con le cattive, con la licenza a punti o con le cannonate, per intenderci, ma è proprio così?
   Innanzi tutto domandiamoci perchè i pescatori vogliono derogare dalle norme. Sicuramente, quando un uomo sta morendo di fame, è disposto a tutto pur di sopravvivere, ed i pescatori, quando a fine giornata non hanno pagato le spese del gasolio, sono analogamente disposti a tutto pur di mettersi in barca quel pesce che gli consente di giungere al pareggio e di giustificare l'uscita del giorno dopo. Questo vale per i piccoli pescatori, quelli che girano sotto costa con una barca di cinque o sei metri e senza equipaggio, ma vale anche per chi ha una barca di acciaio che passa i venti metri, che può stare in mare anche una settimana e che ha dieci uomini di equipaggio?
   E poi, domandiamoci, quali sono le norme, ed a chi danno fastidio? Le norme sono principalmente tre: quelle sul fermo pesca, quelle sulla dimensione del pescato e quelle sulle tecniche di pesca. 
   Sul fermo pesca niente da dire, se non che date e tempi dovrebbero essere decisi anno per anno e zona per zona, da una commissione di biologi, in base ai dati climatici ed al censimento delle specie. Altrimenti, è ovvio, diventa una bufala, un modo come un altro per sincronizzare le vacanze dei pescatori e, in questo modo, approfittarne per alzare il prezzo del pescato sul mercato.
   Sulla dimensione del pescato, invece, si potrebbe parlare, e molto. Ributtare in acqua (o meglio, non catturare) i pesci sotto taglia, di fatto, lascia il tempo che trova. Pochissimi dei pesci sotto taglia, infatti, giungerà all'età adulta e potrà riprodursi. Sarebbe, invece, più sensato il contrario, non pescare i pesci adulti, quelli che, tutti gli anni, si riproducono. Certo, è un ragionamento apparentemente assurdo, però è la realtà. Pescare gli adulti in età da riproduzione è molto più dannoso che pescare i piccoli.
   Infine, le tecniche di pesca. Ci sono tecniche di pesca rispettose dell'ecosistema, e tecniche che rispettose non lo sono per niente. Le prime colpiscono principalmente la specie pescata e nella taglia voluta, le seconde, invece, devastano l'ambiente e colpiscono tutte le specie indistintamente. Stò parlando, per chi non lo avesse capito, della pesca a strascico. La pesca a strascico, prima dell'adozione dei pescherecci a motore, non faceva troppi danni. La vela, infatti, non forniva una propulsione tale da consentire di arare il fondo per centinaia di metri. Oggi, adottando motori da decine di migliaia di cavalli, un peschereccio può trainare una rete in grado di distruggere il fondale in strisce larghe decine di metri e lunghe centinaia. Del resto, prima dell'adozione dei pescherecci a motore, si pescava lo stesso, e non si prendeva poi meno pesce, in quanto un ecosistema sano consentiva comunque pesche abbondanti anche senza lo strascico.
   Tornando alla pesca a strascico, iniziamo col dire che per ora, cioè fino a che l'ecosistema non sarà distrutto completamente, pescare a strascico conviene, specie se si usa una maglia stretta. Conviene anche se si prende la multa, sempre ammesso che la si prenda. Non conviene invece se, dopo qualche volta che si è beccati, si perde la licenza, ed è questo il vero motivo dell'agitazione dei pescatori. Non sono i piccoli pescatori ad avere problemi con la licenza a punti, loro, semmai, ne avrebbero dei vantaggi. Il problema ce l'hanno i proprietari delle grandi barche, quelli che vedrebbero i loro profitti diminuire di qualche punto percentuale se rispettassero le regole sulla dimensione delle maglie e sulle zone proibite.
   Del resto la licenza a punti è un paliativo. Quello che si dovrebbe fare, è affondare centinaia di dissuasori in cemento nelle zone costiere, rendendo semplicemente impossibile l'impiego delle reti a strascico, come è stato fatto, ad esempio, nel parco marittimo di Miramare. Qui i dissuasori, oltre ad impedire la pesca abusiva, hanno fatto da supporto a migliaia di animali stanziali e di piante che crescono indisturbati, indispensabile base di un ecosistema che, nei gradini più alti, vede i pesci che noi mangiamo.
   Una gestione sostenibile del mare, basata sul rispetto assoluto dei fondali, che veda la pesca con tecniche non distruttive e l'acquacultura come fonti principali di lavoro e di fornitura del pesce sul mercato; l'impiego di dissuasori su tutte le acque territoriali, che impediscano la pesca a strascico a qualunque profondità, ed una gestione comune da parte di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo del prelievo di pelagico, basata su politiche di sostenibilità, sono forse l'unico modo per consentire a questo nostro bel mare di riprendersi e di continuare a sostenerci con i suoi prodotti. Per fare questo occorre investire sul rinnovo dell'industria ittica, sull'acquacultura, sull'eliminazione dei grandi pescherecci costieri (che però sono in massima parte proprietà delle banche, che avrebbero sicuramente qualcosa da ridire). Se la strada per arrivare a questo passa dalle licenze di pesca a punti, ebbene, così sia. In fin dei conti una gestione oculata del mare, oltre a fornire proteine in abbondanza, fornirebbe posti di lavoro bastanti ad impiegare coloro che, attualmente, si dedicano alla pesca professionale.

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