giovedì 23 febbraio 2012

John Williams - the guitarist


The guitarist, copertina
   Per parlare di questo disco si deve per forza parlare di John Williams, ma anche di Carlo Domeniconi, di Erik Satie, di Greg Smallman e delle sue chitarre. Il primo, è ovvio, perchè è l'interprete; i successivi due perché sono gli autori dei brani che, secondo il mio modesto parere, meglio risaltano nel disco; l'ultimo perché, con le sue chitarre, è così intimamente legato al suono di Williams da esserne inscindibile. Poi, come si può vedere nel retro copertina, ci sono altri autori la cui musica viene proposta in questo CD con esito più o meno felice, ma è proprio su Koyunbaba
e sulle Gnossiennes che la tecnica di Williams ed il suo suono si manifestano al meglio, ma procediamo con ordine.
John Williams
   Prima di tutto l'interprete. John Williams è un chitarrista australiano, nato a Melburn, nel 41. Interprete e compositore di indiscusso valore, ha studiato fra gli altri con Andrés Segovia e, grazie al fatto che, a differenza di molti altri interpreti di chitarra classica, non disdegna di amplificare il suo strumento, ha suonato spesso davanti a platee immense. Il suo repertorio spazia dal barocco al contemporaneo, arrivando persino al Rock. Famosissima è la sua interpretazione del celebre brano di Myers "Cavatina", che ha funto da tema portante per la colonna sonora del film "Il cacciatore". Williams è famoso anche come arrangiatore e compositore. Molto amato o molto odiato dai chitarristi classici, senza mezzi termini, è caratterizzato da una tecnica indiscutibile, una grande analiticità nella lettura dei brani e, a volte, una freddezza sconcertante. Curioso, ad esempio, ascoltare in questo stesso disco l'interpretazione di Recuerdos de Alhambra, di Tarrega, caratterizzata da una velocità stratosferica di esecuzione e da una estrema piattezza, e Koyunbaba, del quale parleremo in seguito, del quale riesce ad esprimere con chiarezza tutto il lirismo.
   Williams, fra le altre cose, oltre che per la tecnica brillante, la capacità di eseguire a "prima vista" pezzi di grande complessità e l'utilizzo della amplificazione nei suoi concerti, è noto anche per il fatto che usa una chitarra "bionica", fabbricata da Greg Smallmann.
   Che cosa è una chitarra bionica, e chi è Smallmann? Iniziamo col dire che, tradizionalmente, le chitarre sono realizzate in legno. Cedrella o Mogano per il manico, Ebano per la tastiera, Palissandro, Acero o altri legni duri per fasce e fondo e Abete o Cedro canadese per la tavola armonica. Senza voler sminuire l'importanza del progetto globale e delle altre parti, resta il fatto che il suono viene emesso dalla vibrazione della tavola armonica, prima responsabile delle caratteristiche di timbro e di efficenza dello strumento. Molti esperimenti sono stati compiuti per tentare di aumentare il volume sonoro dello strumento senza alterarne le caratteristiche timbriche, ed i punti di intervento sono sempre stati principalmente due: aumentare la leggerezza e l'elasticità della tavola armonica, e migliorare l'accoppiamento fra la tavola armonica e le corde, in modo da avere un maggiore trasferimento di energia. Questo, come già detto, deve essere fatto senza modificare né il timbro dello strumento, cioè la caratteristica presenza di armoniche, né la capacità di produrre note prolungate, necessarie per l'esecuzione di un repertorio classico.
   Greg Smallmann, liutaio australiano, si è allontanato dalla struttura più tradizionale dello strumento sostituendo la tavola armonica di abete  o cedro rinforzata dalle cosiddette catene, listarelle che formano una struttura a raggiera detta anche ventaglio, con una tavola sottilissima in cedro, incollata ad un reticolo di balsa rinforzato in alcuni punti con fibra di carbonio. L'enorme leggerezza delle tavole armoniche realizzate con questa tecnica dà luogo a strumenti molto più sonori e responsivi di quelli tradizionali, ma caratterizzati da un differente contenuto armonico, con una maggior presenza della fondamentale. Questi strumenti, esattamente come John Williams, o li si ama o li si odia, senza vie di mezzo. Resta il fatto che, per ovviare alla scarsa sonorità degli strumenti tradizionali, molti concertisti famosi, come ad esempio David Russell, usano suonare strumenti bionici, anche se non necessariamente realizzati in questo modo. 
   Certo il poter disporre si uno strumento più sonoro, anche se caratterizzato da una tavolozza timbrica meno varia, rende possibile suonare con minor sforzo davanti ad un grande pubblico e, probabilmente, consente di sfruttare appieno la sia pur ridotta gamma sonora mentre magari uno strumento con maggiori potenzialità timbriche, ma che richiede un maggior sforzo per poter essere suonato in una grande sala, non consentirà all'esecutore quella libertà nello sfruttare le potenzialità dello strumento stesso, limitndolo per un certo verso in modo analogo al primo. 
The guitarist, retrocopertina
   Quale sia l'esatto punto di equilibrio per ottenere il miglior risultato, lasciamolo decidere all'interprete e, da bravi ascoltatori, limitiamoci a prendere nota del fatto che Williams suona con uno strumento "modernizzato" e godiamoci il disco. Diciamo subito che, dei brani presenti, non tutti sono, almeno secondo il mio parere, degni di nota. Il primo a spiccare è sicuramente Koyunbaba, di Carlo Domeniconi, nei suoi quattro movimenti. Domeniconi, compositore di origini Italiane, nasce a Cesena nel 47 e studia chitarra e composizione e si diploma giovanissimo al conservatorio di Pesaro. Dopo aver vissuto per più di vent'anni in Germania, durante i quali si specializza in composizione ed insegna all'università della musica, si trasferisce in Turchia, fondando il dipartimento di chitarra al conservatorio di Istanbul. Qui acquisisce i suoni, i ritmi e le armonie della musica locale aggiungendoli al suo repertorio di compositore e qui, facendone tesoro, comporrà Koyunbaba, forse la più conosciuta delle sue opere.
   Questa composizione, composta da quattro movimenti, ci presenta lo strumento in una dimensione nuova sia per le sonorità esotiche che per l'uso di una accordatura particolare, che consente di eseguire il brano sfruttando consonanze e corde vuote che conducono verso soluzioni timbriche fuori dal comune.Ora, per chi non fosse un appassionato di questo strumento, è bene fare una piccola premessa: la chitarra è uno strumento relativamente giovane e, per sua stessa natura, poco adatto ad esprimersi in presenza di altri strumenti sia per la sua voce flebile che per il fatto che, come il pianoforte, è polifonico e consente, a differenza di altri strumenti come ad esempio gli archi, di rendere qualsiasi tipo di musica in autonomia, come se si trattasse di una piccola orchestra. Per questo motivo quando, all'inizio del secolo scorso, alcuni interpreti hanno tentato di togliere la chitarra da un mondo prevalentemente legato al folclore ed alle tradizioni popolari per portarla in quello della "musica seria", si sono trovati in grossa difficoltà per la mancanza di un repertorio classico e romantico adeguato, e si sono lanciati sulle trascrizioni.
   Però, senza nulla togliere alle trascrizioni, il risultato è stato il creare un modo di scrivere la musica poco legato alle effettive potenzialità dello strumento. Brani che in origine erano scevri di difficoltà tecniche diventano, sulle sei corde, ardui da suonare e, specialmente, non consentono di esprimere che in minima parte le potenzialità dello strumento. Domeniconi invece, come ad esempio Heitor Villa-Lobos prima di lui, ha un modo di scrivere assolutamente chitarristico. In Koyunbaba tutte le possibilità dello strumento vengono esplorate, dando origine ad un brano tanto intimamente legato alla chitarra, da non poter essere neppure concepito su di un diverso strumento.
   Diametralmente opposte sono le Gnossiennes, di Erik Satie. Satie, nato nel 1866 in Francia, e vissuto a Parigi durante i suoi anni di compositore, fu un pianista eccentrico ed ubriacone, tanto da morire di cirrosi epatica a soli 59 anni. I suoi brani più noti, le sette Gnossienness e le tre Gymnopedies, sono di difficile collocazione musicale ma, con le loro note, ci trascinano facilmente in un clima di belle epoque, complice il loro utilizzo cinematografico. Si tratta, tuttavia, di composizioni prettamente pianistiche, anche se spesso trascritte per la chitarra. La necessità di mantenere lunghe note di basso mette a dura prova il sustain dello strumento mentre, sulla prima delle Gnossiennes, la presenza di tantissimi legati sia ascendenti che discendenti sul cantato, che deve emergere chiaro sulle altre note, richiede grande tecnica ed uno strumento agile.
   Ora, finalmente, dopo tutte queste premesse parliamo dell'esecuzione. Freddo ed analitico, un po' Williams lo è davvero, ma il risultato non è comunque certo mediocre. Certo, confrontando la sua esecuzione di Koyunbaba del 1998 con quella attuale di Li Jie, probabilmente potremmo preferire la seconda, ma è una questione di gusti personali. Quella di Williams è misurata, la bellezza emerge dal pentagramma e non dall'esecutore che quasi si annulla ma, su pagine già di loro così piene di espressione, non priva di nulla la resa finale del brano. Quella dell'artista cinese è variata. Il tempo più irregolare, con piccole pause fra le frasi che rendono l'idea di echi lontani, tuttavia alle volte si ha l'impressione che il tempo scappi via in modo eccessivo e anche l'uso di molte variazioni timbriche appare, alle volte, un po' troppo forzato.
   Insomma, malgrado tutto, la lettura di Williams non è da disprezzare e si contende la palma con le migliori attualmente disponibili. Se a questo aggiungiamo la tecnica del chitarrista australiano, assolutamente inarrivabile, possiamo dire che questo disco non può mancare nelle collezioni degli appassionati.

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