martedì 14 febbraio 2012

Le multinazionali ed il mercato globale

Multinazionali sul mondo
   Che, in un qualche modo, le multinazionali siano una delle cause dei problemi che ci assillano oggigiorno, molti lo hanno recepito. Molti, anzi, boicottano, o cercano di boicottare, le multinazionali per principio. Eppure, chi sa dire esattamente perché le multinazionali sono un male? Pochi? Cerchiamo di chiarirci su questo punto. Dobbiamo farlo, altrimenti saremo costretti a ricominciare a comprare le magliette della Disney ed il latte condensato.
   Ci sono diversi buoni motivi per non amare le multinazionali. Alcuni valgono per tutte ed altri solo per alcune ma, in linea di principio, in questo gruppo non troveremo innocenti. Iniziamo col dire che le multinazionali soffocano le piccole imprese. Questo è un male perché le piccole imprese contribuiscono a creare diversità. Inoltre le multinazionali hanno la capacità di controllare i mercati e, in questo modo, giocano secondo regole che loro stessi scrivono. E poi, diciamolo chiaramente, se le aziende non sono esseri umani e rispondono solo a logiche di bilancio, le multinazionali non solo non sono esseri umani,ma sono, per loro stessa natura, così lontane dall'esserlo, da rendere il concetto di etica totalmente incompatibile con la loro esistenza. Così si hanno i comportamenti platealmente non etici di aziende come la Disney, la Nike e la Nestlè o quelli più nascosti di tante altre, che hanno suscitato tanta indignazione nel trascorso ventennio.
   Tuttavia c'è almeno un altro motivo, ancora più importante, per non amare le multinazionali, un motivo molto semplice ma terribilmente importante. Le multinazionali sono una sorta di superconduttore che cortocircuita il mondo della produzione con quello del consumo, facendo sì che l'utile del lavoro non sia goduto nel paese in cui il lavoro viene svolto. Fatto grave, questo, perché non solo accentua le sperequazioni fra i paesi poveri e quelli ricchi, ma rende di fatto impossibile qualunque attività produttiva in questi ultimi, favorendo la nascita di sacche di povertà ed eliminando, di fatto, il ceto medio. Come a dire che, nei paesi più ricchi, nel prossimo futuro, o si sarà poveri o si sarà ricchi, senza vie di mezzo e, specialmente, senza la possibilità di saltare la barricata.
Povertà
   Cerchiamo di chiarire questo concetto: diciamo, ad esempio, che c'è un piccolo paese che, fuori dal mercato globale, risulta autosufficente per le necessità primarie. Certo, l'essere isolato dal resto del mondo lo rende arretrato ma, di fatto, nessuno muore di fame. I ricchi, bé, che c'è di strano, è logico aspettarsi che ci siano i ricchi anche nei paesi poveri, si distinguono per l'accesso a beni che i poveri non possono avere, o che hanno in misura limitata, come bestiame, case più grandi, terreni migliori, abiti migliori, ma i bisogni primari vengono comunque soddisfatti, anche se nessuno sciala. Del resto, mancando l'esportazione, non ha senso produrre più di tanto. La logica consumistica fatica ad attecchire anche perchè la mancanza di un mercato esterno rende indispensabile la redistribuzione delle ricchezza fra la popolazione, in modo da mantenere attivo quello interno. A queste condizioni perché produrre più del necessario? Meglio lavorare poco, solo quello che serve, e godersi la vita nel resto del tempo. Certo, c'è sempre chi vorrebbe essere molto più ricco ma, come già detto, ciò non è possibile in quanto, non redistribuendo la ricchezza, si uccide il mercato e si smette di guadagnare.
   Tuttavia il mercato esterno esiste. Alcuni imprenditori più intraprendenti iniziano ad esportare i loro prodotti ma, attenzione, lo fanno a fine di lucro; esportano, non regalano. In cambio dei loro prodotti chiedono denaro che si traduce poi in merci di inportazione. Certo, a queste merci in linea di principio non possono accedere tutti ma, comunque, vale la logica del "tanto entra-tanto esce". Aumenta il divario sociale ma ancora non si crea la vera povertà, perché l'utile del lavoro svolto rientra in un qualche modo nel paese in una proporzione ragionevole. Il valore dei beni esportati, infatti, è ancora deciso dal produttore.
Denaro nel mondo
   A questo punto, però, l'aumentata sperequazione innesca una domanda sempre maggiore di beni che l'industria locale,  debole ed arretrata, non riesce a soddisfare. Bisogna importare sempre di più ma, per farlo, serve sempre più valuta pregiata e, di questa, ce n'è pochina. Ragionevolmente parlando, la cosa migliore da fare sarebbe tassare pesantemente le esportazioni e, con il ricavato, aumentare le potenzialità del paese di soddisfare i bisogni interni, processo sicuramente lungo, perché inizia dalla scolarizzazione, ma che non dilapida le risorse locali e, anzi, le valorizza. Tuttavia la richiesta è pressante, e c'è chi, da fuori, si offre di creare posti di lavoro, le multinazionali. Aziende senza una patria e, spesso, senza industrie loro, che offrono un miraggio chiedendo, in cambio, il totale asservimento. Non portano né la tecnologia, né l'istruzione, ma solo il lavoro manuale e quello ambientalmente inaccettabile.
   Diciamo che il governo del nostro paese, accecato da false promesse o, più verosimilmente, corrotto, accetta la creazione di una zona franca, una quartiere produttivo dove non ci sono regole, se non quelle delle multinazionali. In questo quartiere nascono fabbriche che producono, assemblano, inquinano e così via, sfruttando la mano d'opera e le risorse locali che, però, vengono valutate e pagate a discrezione delle multinazionali. Così, ad esempio, un paio di scarpe da ginnastica viene prodotto per meno di un dollaro, mentre il suo valore sul mercato di vendita supera i cento dollari. L'utile, però, non viene fatto nel nostro paese che, di fatto, da tutto questo non viene arricchito in nessun modo ma vede invece le sue risorse progressivamente dilapidate. In pratica, il valore dei beni esportati non è più deciso all'interno del paese di produzione.
   Nel frattempo la multinazionale di cui sopra vende i prodotti realizzati nel nostro paese in un altro, più ricco, dove il costo della vita è tale che non sarebbe neanche pensabile di produrre le stesse cose alla stessa cifra. Come conseguenza di ciò in questo paese scompaiono posti di lavoro. Perché mai, del resto, produrre scarpe da ginnastica a dieci o quindici dollari se posso importarle per molto meno? Perché utilizzare costosi processi di produzione ecocompatibili se ci sono paesi dove mi è consentito produrre con i più economici processi inquinanti? E così, la povertà e la sperequazione sociale aumentano non solo nel nostro paese, ma anche in quello dove i nostri prodotti vengono venduti.
   Inoltre, seguendo questa logica, vengono commerciate da continente a continente anche merci di largo consumo, come i generi alimentari, che potrebbero benissimo essere prodotte localmente. Il trasporto di queste merci, oltre a non essere ecosostenibile, vede buona parte del costo del bene nel trasporto, e non nella produzione, e cioè in un accessorio che, per ciò che può essere prodotto localmente, è assolutamente inutile.
   Ecco, questo meccanismo vizioso, al di là dei casi eclatanti di crudeltà, se non addirittura agli episodi criminali commessi sotto l'egida di alcune multinazionali, è di per sé un buon motivo per boicottare le multinazionali. Quali? Diciamo tutte quelle di cui non possiamo fare a meno. Nel prossimo post su quest'argomento qualche riflessione in proposito.

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