lunedì 16 aprile 2012

Il valore della squadra

la squadra in riscaldamento
   In questi fine settimana di primavera, densi di competizioni nelle quali i bambini, prima del riposo estivo, mettono alla prova quanto appreso durante l'anno, fra Judo, nuoto, pallone ed altro ancora sembra di essere diventati autisti, e per fortuna che, in un qualche modo, siamo riusciti ad accordarci con altri genitori in modo da portare, a turno, i bambini di tutti, limitando così l'impegno che rimane, comunque, notevole. Tuttavia, quando si portano i bambini ad una gara, fra il momento in cui li si lascia negli spogliatoi e quello in cui li si preleva dopo la doccia passa sempre un bel po' di tempo, tempo che io, personalmente, fatico a trascorrere guardando la gara in sé che, di norma, essendo per l'appunto una gara di bambini, è assolutamente poco
avvincente. Non sono uno di quei genitori che si sciolgono guardando il proprio figlio che gioca e non sono neanche uno di quelli che, con il cronometro in mano, si trasformano in tecnici della domenica, pronti a correggere presunti difetti o ad ideare cervellotiche strategie. Così , mentre attendo che la gara finisca, dopo una rapida puntata sugli spalti per "farmi vedere" dai bambini, ai quali dopo dirò di aver seguito con la massima attenzione le loro prodezze, di solito vado a prendermi un caffè, leggermi il giornale e farmi due passi. Tuttavia capita che, come domenica scorsa, piova, ed il bar più vicino sia ad un paio di chilometri di distanza. Che fare? Bagnarsi, prendere la macchina per poi non trovare più un parcheggio o restare in piscina a guardare la gara? Va bé, caffè della macchinetta e restiamo in piscina che in fondo, quasi un miracolo, oggi non c'è molta gente sugli spalti e, con un po' di fortuna, forse trovo anche un posto a sedere. Questo non esserci molta gente sugli spalti, apro un inciso, dipende forse dal fatto che, visto il tempo, la maggior parte dei genitori non è riuscita a portare nonni, bisnonni e zii vari ad assistere alle prodezze dei pargoli. Di solito invece le gradinate sono occupate da coppie con supporto geriatrico al seguito di modo che, sommando le età degli accompagnatori, per ogni bambino in gara c'è mediamente un millennio di parentado in tanto estatica quanto incomprensibile adorazione.
Sfilata squadre prima di una gara
   In ogni modo assisto alla gara e, siccome con cuffia e costume faccio persino fatica a distinguere mia figlia dalle altre concorrenti, in realtà lascio la mente libera di divagare senza preoccuparmi troppo di quello che succede in vasca. Rifletto, invece, guardando i bambini divisi per squadre, con la regolamentare maglietta colorata, simbolo indispensabile di appartenenza ad un gruppo, sulla squadra in sé. In pochi sport come nel nuoto è evidente l'importanza della squadra in uno contesto dove la prestazione effettiva è sempre del singolo. Se è vero, infatti, che quando si esce dalla vasca, dopo un bell'allenamento, ci si sente da Dio, è altrettanto vero che la voglia di entrare in acqua di solito manca, specie quando il tempo è freddo e piovoso. Che cosa spinge allora,prima un bambino e poi un adulto a continuare a farsi violenza per andare in piscina? La consapevolezza del benessere del dopo vasca? Il desiderio di un risultato che, spesso, è solo illusorio? No, queste motivazioni possono essere sufficienti quando tutto va bene, quando si sente di essere al meglio, quando ci si rende conto che manca poco al risultato, ma quando si è depressi? Quando non si vede l'agoniato miglioramento? Quando si riprende dopo una pausa e si deve riscalare per l'ennesima volta la stessa montagna? Cosa riesce in questo caso a spingere i nostri bambini, o noi adulti se, come nel mio caso, continuiamo a nuotare, ad entrare in acqua?
   Ebbene, pur essendo un individualista convinto devo ammettere che è il senso di appartenenza a smuoverci. Fare parte di una squadra, sapere che c'è sempre qualcuno che conta sul fatto che non mollerai è una spinta incredibile. Questi bambini, che oggi ancora fanno quello che noi gli diciamo di fare, diventeranno prima adolescenti ribelli e poi giovani, cioè adolescenti nel corpo di un adulto che gustano finalmente la libertà dal controllo genitoriale. Cosa potrà spingerli a non allontanasi troppo dalla strada del buon senso quando gli ormoni inizieranno a frullare? Non i genitori, non gli insegnanti, non il loro abbagliato raziocinio ma, forse, lo sport e la squadra sì.
   Ed allora, è importante, guidiamoli ed indirizziamoli verso lo sport ma lasciamo che siano le loro inclinazioni a portarli a scegliere una attività che possa restare per la vita, avendo solo cura di selezionare per loro delle società sportive che mettano la squadra davanti alla prestazione. E' facile, non voglio fare nomi di società ma chiunque assista ad una qualche gara di giovanissimi di qualsiasi sport se ne renderà subito conto, addestrare i bambini ad ottenere il risultato. Loro sono come cera molle nelle mani dell'allenatore che li può portare alla perfezione tecnica senza curare altro, magari scartando quelli meno dotati, in modo che riempiano la casa di medaglie. Tuttavia in questo modo, non appena la competizione si farà più dura ed i risultati meno certi, li si perderà immancabilmente per la strada. Oh, è vero, se per caso capita di avere fra le mani un "mostro", quello magari lo si porterà fino alle olimpiadi o oltre, ma tutti gli altri? Che facciamo di quelli che non sono mostri, li buttiamo via?
   E noi, siamo certi che il nostro bambino sia un mostro e vogliamo darlo in mano ad un allenatore di questo genere, o faremmo meglio piuttosto a preoccuparci del fatto che non perda la strada in itinere? Meglio, allora, scartare gli allevamenti di mostri e scegliere una società che abbia, fra le sue caratteristiche, una squadra numerosa con tanti giovani e tanti adulti, segno evidente di una grande cura nel coltivare le persone in primis e quindi gli atleti, e questo non solo per il nuoto, ma anche per qualsiasi altro sport. E quando la società sportiva propone una pizza, una scampagnata o qualunque attività extra allenamento, portiamo i bambini e partecipiamo con loro, perché si rendano conto che la squadra è una cosa concreta, coesa, che esiste indipendentemente dal risultato in gara.
   Rassegniamoci, genitori, al fatto che nostro figlio non è quello che avremmo voluto essere noi e non siamo riusciti ad essere. Avremmo voluto andare alle olimpiadi e non ce l'abbiamo fatta? Non per questo lo farà nostro figlio. Avremmo voluto diventare un calciatore famoso e girare in Ferrari ma non riusciamo a centrare una porta neanche a due metri di distanza e guidiamo una panda? Non sarà questo a trasformare nostro figlio in Maradona. Guidiamo i nostri bambini perché diventino persone normali e non campioni, senza castrarli ma anche senza compiere scelte estreme, che possono compromettere il loro rapporto futuro con lo sport che, non dimentichiamolo, potrebbe un giorno salvargli la vita.

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